Due biografie intrecciate dall’autrice, che visita i luoghi percorrendo gli spazi delle case e dei laboratori di entrambi gli artisti.
Si parla di William Morris (1834-1896) e Mariano Fortuny (1871-1949), che non molti conoscono nei loro tratti di vita e di lavoro nelle arti. Lo storico dell’arte considera ciò che l’artista fa e cosa ha fatto, mentre Byatt ricostruisce una vita che si fa all’interno di uno spazio che è allo stesso tempo domestico e di lavoro, per ritrovare lo spirito di un artista-artigiano che sa dare alla scrittura e alla pittura un ruolo sociale. È già il concetto moderno di “arte come design”. La Casa Rossa diMorris è testimonianza di
un sogno infranto: una comunità di artisti-operai fin troppo legati tra di loro e con le loro donne.
La società Morris, Marshall, Faulkner & Co.
Bottega artigianale di pittura, scultura, arredamento e vetrate, per insane gelosie e bilanci fuori controllo, durò molto poco. E il Kelmscott Manor (circa 30 miglia a ovest di Oxford) diventò una stamperia dove Morris stampava libri di grafica eccelsa, ispirandosi al verde spazio circostante, alla vegetazione, al canto degli uccelli, all’acqua del Tamigi.
L’autrice utilizza un molto particolare tipo di scrittura che si direbbe intessuta di riflessione autografa, frammenti di lettere e testimonianze di questi e altri autori idealmente connessi. L’arte del tessere, il lavoro materiale al telaio, viene considerato da Morris eticamente necessario per chiunque abbia un interesse estetico, in opposizione al mondo industriale e mercantile circostante. Morris stesso aveva messo accanto al suo letto medievaleggiante un telaio in legno, quasi uno strumento musicale, sul quale era bene esercitarsi per ritmare fin dall’inizio la giornata di lavoro. Da come si mostra all’autrice, il palazzo-laboratorio Pesaro Orfei a Venezia in cui visse e lavorò Mariano Fortuny è il luogo perfetto per aprire uno spazio scenico che può variare con le sole luci senza cambiare le scene. La “lampada a cupola” di Fortuny è la creazione materiale che rappresenta l’arte totale profetizzata da Wagner. Fortuny stesso è un “datore di luci” anche quando stampa sui velluti le sue dorature artificiali: la “crisografia” (lo scrivere e disegnare in argento e oro) suggestiona anche Morris, che fa proprie le tecniche alchemiche del monaco medievale Teofilo. Morris e Fortuny non sono pittori ma disegnatori e “designatori” di un gusto che sta al posto del lusso e che vuole far perdere progressivamente, a ciò che ora chiamiamo design, l’aggettivo industriale in cambio del “new artisan”. Byatt mette in luce le loro più evidenti differenze: l’amore incondizionato di Fortuny per la musica di Wagner era come fumo negli occhi per Morris.
Il Nord dei ghiacci dell’Islanda piaceva a Morris e il Mediterraneo greco arabizzante a Fortuny. Fra i due c’era una differenza di 37 anni di età, ma Byatt sostiene abbia creato tra i due un segno di continuità o suggestione come è stato letterariamente tra Ruskin e Proust. Però il vero nodo che unisce l’espressione decorativa di Morris e di Fortuny è un frutto, rappresentato in maniera emblematica da Dante Gabriel Rossetti nelle mani della moglie di Morris in veste di Proserpina. Il pomo del melograno ricorre continuamente nell’intreccio dei disegni dei due maestri: è presente al punto da costruire il capitolo centrale della narrazione. La ricerca visiva e letteraria di Byatt, che si concentra sugli effetti di inviluppo e crescita dei disegni tanto di Morris quanto di Fortuny, scopre inoltre la presenza di un uccello terrestre, il pavone dalla voce stridula e quasi umana. Byatt si chiede quali siano a Venezia gli animali più presenti: non leoni che volano, né colombi che camminano, né fenici che bruciano ma pavoni che parlano. Tutte queste forme di ricerca, di disegno e fabbricazione, in Morris quanto in Fortuny, sono alle stesso tempo originali quanto seriali e seriali quanto originali.
E questa è infatti la cifra dell’arte contemporanea, che nell’età della riproducibilità può ancora proporre l’irriproducibile. Il libro guida per questo viaggio è Le pietre di Venezia di John Ruskin, stampato dalla Kelmscott Press di William Morris. Nel vivace scambio tra il letterario e l’artistico sta il segno di una congiunzione astrale fra un sistema di pianeti: Morris-Ruskin-Proust-Fortuny, con una cometa passante in cui si distinguono le forme intrecciate di pavoni e viti(cci). Peacock and Vine. Nell’attenzione appassionata di Proust per gli abiti di Fortuny, l’abito larvale di Oriane Guermantes è come un rapporto stretto e sottile tra pieghe di un abito e righe di un romanzo. Nel Delphos, l’icona di Fortuny, la particolare plissettatura in seta, sottile e resistente, pone vertiginosi problemi di sartoria, ma si anima come una scultura greca vivente e può essere indossato nella quasi immobile presenza scenica di Eleonora Duse come nei movimenti ispirati della danzatrice scalza Isadora Duncan.
Manlio Brusatin