Quella di Ferdinando Fasce non è una semplice “storia dei Beatles” ma uno sforzo analitico rigoroso che offre la possibilità di leggere il quartetto di Liverpool collocandolo nella storia, dando corpo a un testo in cui si confondono passione personale, indagine scientifica e accessibilità narrativa (…). Nella sezione intitolata Vento del Nord, l’autore si sofferma sul background e la formazione di ogni singolo componente, sul loro essere fan nonché consumatori di icone e stili precisi, sino al tradursi essi stessi in produttori di musica; nel capitolo successivo emerge invece il processo di trasformazione dei Beatles in “merce globale”, colta in un continuo processo dialogico di self-translation tra vinili, concerti, apparizioni televisive e pellicole cinematografiche che diventeranno dei veri e propri “manuali di vita” per i fan. Il capitolo Gli imperi del suono analizza il complesso problema dei corpi sonori dei Beatles, ossia il disco e il live; emerge un progressivo disagio della band rispetto all’idea stessa di concerto, capiranno nel 1966 “di non voler più fare tournée” e di volersi dedicare alla performance in studio. Infine la sezione Abbey Road è l’indagine degli ultimissimi anni, e disegna un spazio che, di là delle tensioni tra i componenti del quartetto, è anche un paesaggio sonoro dove molti fan si ritrovano fisicamente ed emotivamente e in cui coesistono accessibilità e pulsione avanguardistica.
In the USA
Nel libro gli attori della scena, o meglio del play beatlasiano, ci sono tutti: non solo George Martin, ma anche Epstein, Yoko Ono; una particolare enfasi viene posta sull’esperienza nonché sulla ricezione americana della band, dal loro debutto televisivo al celebre Ed Sullivan Show, al loro complesso rapporto con il mercato discografico, nonché con la controcultura americana a partire dallo stesso Allen Ginsberg, sino al rapporto controverso con tutto ciò che rimandava alla summer of love: cultura orientale, droghe, festival (ai quali i Beatles non parteciperanno mai), psichedelia, Hendrix e dintorni. È interessante ricordare qui che Ginsberg stesso definì i Beatles “the paradigm of the age”, ovvero il paradigma, il modello di un’epoca in cui “the medium is the message”: ebbene i Beatles di Epstein capirono che nell’universo mediatico postmoderno il “come” era più importante del “cosa”.
La passione del fan
Nella parte finale del volume la passione del fan sembra avere la meglio sull’osservazione scientifica (che pure è ben presente sino alle ultime battute); alla fine l’ascolto, la musica, in quanto sempre refrattaria alla trascrizione rivela la sua eccedenza, il suo essere incontenibile in forme definite e definitive. Poca importa che l’autore non sappia leggere la musica; questo è un libro il cui merito più grande è quello di far venir voglia di ascoltare, leggere e dunque riascoltare i Beatles.
Pierpaolo Martino