Ineguagliato
Merulana, nel “palazzo degli ori”, un orrendo delitto – anticipato da un “rubalizio degli ori” del giorno prima, ai danni della vedova Menecacci, anziana ereditiera veneta con più di una fantasia di stupro – chiama il detective don Ciccio Ingravallo, a indagare. La vittima è Liliana Balducci, signora dell’alta borghesia romana. Liliana, vittima prim’ancora che di un coltellaccio diabolico di un disturbo narcisistico; il suo cadavere viene ritrovato sgozzato, cruentemente raffigurato come un Rembrandt, prima di Bacon, come un tocco di carne da farne scempio, in una scena di un lirismo melodrammatico assoluto, ineguagliato. L’indagine di don Ciccio sarà irradiazione, diffrazione, diramazione, scoppio di piste ed epistemologie: s’intreccerà con il furto subito dalla contessa, con i carabinieri e soprattutto con l’extra muros delle campagne romane, dove la vita ribolle infernale e calda, dionisiaca e istintiva.
Caos a Babilonia
Gadda narra il caos con il caos: l’enigma insolubile della “ragione del mondo”, vorticosamente stritolata (…), dalla serie delle “concause” che hanno avvoltolato il filo d’Arianna della realtà fino a renderlo un “gomitolo. Roma è Babylon: sotto la Roma eterea della ricca borghesia brucia la cenere di una romanità/umanità selvaggia e incoercibile, felice di essere carne da cannone mussoliniano. Le piste che porteranno Ingravallo e i colleghi carabinieri in una discesa ctonia fra elettricisti farabutti, marchettari, servette, donne-demoniche saranno destinate a chiudersi con il più celebre finale della letteratura italiana contemporanea, in quella che Gadda stesso chiamava “apocope drammatica”, ovvero in una sostanziale assenza del colpevole.
L’unico successo
Gadda iniziò a scrivere il suo giallo programmaticamente “conandoyliano” intorno alla fine della seconda guerra mondiale, ne pubblicò alcuni tratti sulla rivista “Letteratura” e, poi, come molti suoi altri lavori – cantieri aperti che, per la maggior parte, sono stati consegnati a noi impossibili da chiudere – lo lasciò andare, tuttavia senza abbandonarlo mai. Tant’è che in seguito, stretto al muro dagli editori, dalle difficoltà di campare (…), riprese il suo romanzo giallo e, in un clima di perpetua guerra psicologica con l’editore Livio Garzanti, diede finalmente alle stampe Quer pasticciaccio brutto de via Merulana nel 1957. Immediato successo di pubblico (…), un Gadda ormai sessantenne inopinatamente ritratto nelle cronache mondane, premi letterari e fama che mai aveva avuto: difficile uscirne illesi e difatti il nostro ne uscì depresso e insterilito. Con il Pasticciaccio, infatti, si chiude l’attività creativa gaddiana, interrompendo quella che, nelle intenzioni dell’autore, era soltanto la prima puntata di un giallo in due volumi.
Filippo Polenchi