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Chi si aspetti di trovare in questo superbo libro l’arida storia teologica di un luogo intermedio dell’aldilà sarebbe fuori strada: mescolando testi di dottrina, normativa funeraria, pagine di letteratura, note filologiche, racconti di miracoli, censure inquisitoriali e un’ingente mole di fonti iconografiche, Franceschini riflette su un nodo centrale come quello del rapporto tra i vivi e i morti nella tradizione cristiana.

 

Questa storia evidenzia come la scelta di impartire precocemente il battesimo nell’acqua per cancellare il peccato originale e dare accesso alla comunità dei fedeli immediatamente dopo la nascita ebbe conseguenze anche per le concezioni occidentali dell’aldilà.

Su quel piano la tradizione apocrifa del Vangelo di Nicodemo, con il racconto della discesa di Cristo risorto agli inferi per aprire le porte della salvezza ai patriarchi del Vecchio Testamento, si mescolò con il retaggio dei miti greci e latini. Materiali della cultura classica pagana e concezioni cristiane, diedero vita a un nome (il limbo, “l’orlo”) e a un’architettura instabile dei luoghi intermedi dell’aldilà destinati a ospitare non solo i precursori di Cristo nel cosiddetto “seno di Abramo” (dal Vangelo di Luca), ma anche due altre categorie umane non bagnate dalla purificazione battesimale: i bambini morti anzitempo, prima che il rito fosse impartito, e i giusti del mondo pagano.
Se la visione di Dio era riservata ai battezzati, che ne era delle anime dei patriarchi, e dei neonati defunti prima del battesimo? Il limbo, luogo separato ma dell’inferno, nacque come la riposta a un problema teologico e come uno spazio per collocare una classe di confine dei morti.

Se ai patriarchi si riconobbe, tramite il trionfo di Cristo sulla morte, il passaggio in paradiso l’immaginario infernale si complicava per il bisogno di ubicare uno spazio distinto per i bambini morti anzitempo. Grotta, voragine o bocca che fosse, nel limbo non poteva esserci il castigo delle fiamme (riservato alle colpe personali) ma una semplice privazione destinata ai bambini senza battesimo.

Eppure, spiega Franceschini, per secoli i teologi non furono concordi e mancarono rappresentazioni del limbus puerorum. Inoltre la potenza figurale della Commedia influenzò le immagini ben oltre i limiti della dottrina, quando Dante descrisse i suoi primi passi all’inferno incontro ai pagani e agli infedeli virtuosi (Averroè!) collocati senza sofferenza nel limbo.

Franceschini dedica all’invenzione dantesca alcune delle pagine più raffinate del libro, sottolineando la distanza del poeta dalle correnti concezioni teologiche e l’irrompere di una questione che precede il Rinascimento: quella della salvezza dei pagani e degli infedeli magnanimi vissuti anche dopo il sacrificio di Cristo. Due secoli prima che la scoperta dell’America facesse porre ai teologi la domanda sulla salvezza di milioni di anime incolpevoli e inconsapevoli della buona novella vissuti senza battesimo, il limbo della Commedia relegava al margine i bambini e poneva al centro i non cristiani.

L’autrice analizza il dibattito teologico fino alla Riforma e oltre; soprattutto la produzione di pittori come Mantegna, Raffaello e Michelangelo, con una lettura iconografica acutissima che svela il significato di opere note e meno note riconducibili, almeno in parte, al tema del limbo dei bambini (il Tondo Doni) o dei pagani (le Stanze Vaticane).

A essere sconfitta, dal XVI secolo, fu una linea teologica domenicana  che ammetteva una possibile beatitudine eterna, senza pena e “naturale”, per i bambini e i pagani morti senza battesimo. Del resto, dopo la Riforma – che cancellò il limbo e diede soluzioni differenti al problema dei bambini morti senza battesimo – non si poté ammettere né la pensabilità di una condizione ultraterrena di gioia e di “gioco” che attenuasse l’angoscia del limbo o la sua condizione di malinconica perdita della visione di Dio né la sua rappresentazione letteraria e iconografica. Il limbo dei bambini senza che il concilio riunitosi a Trento ne facesse una dottrina canonica. La pittura cattolica adeguò la rappresentazione e rinunciò in gran parte a inventare soluzioni più o meno in conflitto con una teologia che avrebbe continuato a discutere senza che la sede apostolica si pronunciasse fino a dieci anni fa.

Vincenzo Lavenia

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