La nascita di Frankenstein
Mary Godwin, figlia di Mary Wollostonecraft, autrice della prima dichiarazione dei diritti della donna aveva diciassette anni quando si rifugiò in Svizzera con Percy Bysshe Shelley, che abbandonava così definitivamente la moglie Harriet e i due figli. Il padre di Mary, il filosofo William Godwin, non solo non aveva approvato la relazione della figlia, ma l’aveva bandita dalla sua vista. Mary si ritrovò senza madre, senza padre e senza la figlia che era morta due settimane dopo la nascita, nel marzo del 1815. Nel gennaio del 1816 Mary aveva però messo al mondo un bimbo, William, sanissimo, ma che si era preso una tosse persistente: la “fuga” a Ginevra, nell’estate del 1816, aveva anche il vantaggio di portare il bambino in un luogo più salubre e dal clima più favorevole. Fu lì che Mary incominciò a scrivere Frankenstein.
L’edizione del 1818 con due introduzioni
Spesso la scelta di legare l’interpretazione dei testi alla vita del loro autore si traduce in un esercizio discutibile e talvolta fuorviante. I testi sono sempre autosufficienti. Tuttavia in certi casi l’operazione è lecita e convincente . In questa direzione si muovono le due introduzioni di Nadia Fusini e di Charlotte Gordon alla nuova edizione italiana di Frankenstein, che propone il testo originario pubblicato nel 1818 . La tiratura fu di 500 copie, in larga parte rimaste invendute; ma la storia narrata suscitò l’interesse degli autori teatrali dell’epoca, abili artigiani specializzati nell’adattare a fini spettacolari testi narrativi che si prestassero a una versione scenica di tipo melodrammatico. Fu così che la storia di Frankenstein divenne famosa.
L’entusiasmo giovanile
Nel 1831 Mary Shelley riprese in mano il suo primo romanzo e ne revisionò il testo. Questa seconda versione è quella che da allora in poi è stata offerta ai lettori. Il Frankenstein pubblicato ora da Neri Pozza, cioè quello originario del 1818, ci offre il testo scritto da una donna giovanissima, colta, immersa in un ambiente letterario di travolgente vivacità e spregiudicatezza intellettuale, che si lancia nel gioco inventato da Byron nella villa ginevrina che li ospitava (“mettiamoci tutti a scrivere una storia di fantasmi e di terrore”) con l’entusiasmo giovanile di chi accetta una sfida. Ma al tempo stesso basandosi sulle letture e le discussioni di quelle giornate: da un lato le osservazioni di Galvani a proposito degli effetti delle scariche elettriche sulla contrazione dei muscoli, dall’altra la lettura di storie di fantasmi, in particolare di Fantasmagoriana, racconti gotici tedeschi che da poco erano stati tradotti in francese.
Meno horror più etica
Nell’edizione originale la componente horror è meno accentuata; ma la differenza maggiore sta nel fatto che è più sottolineata la libertà di scelta di Frankenstein nel seguire o meno la sua “ambizione”: esaltato dai successi dei suoi primi esperimenti lo scienziato si interroga sul se e sul come creare un essere umano. Lo farà; e sarà una scelta sbagliata, che porterà alla sua tragica distruzione. Per questo aspetto, dopo duecento anni Frankenstein conferma la sua piena attualità.
Paolo Bertinetti