Prima Effe

BLOG

Postwar è un libro imponente, incredibilmente ben scritto, ineguagliato e forse ineguagliabile. Il libro è fondamentale per molti versi.

Innanzitutto, è la prima narrazione storica a coprire effettivamente l’intero arco del dopoguerra, ricostruendo in parallelo e nel loro intreccio le vicende dell’Europa occidentale e orientale, senza limitarsi a tre o quattro grandi stati europei, ma esaminando adeguatamente anche quelli minori o periferici. Inoltre, l’ampiezza della narrazione stessa permette a Judt di superare il limite delle più brillanti storie del Novecento, che tendevano a dare per scontate le conoscenze necessarie a una comprensione adeguata da parte dei lettori.

QUATTRO PUNTI

(…). Nel testo, suddiviso in quattro parti, l’accento si sposta variamente sulle diverse tematiche in relazione al periodo trattato. Il punto di partenza è quello dell’eredità della guerra e della ricostruzione europea. La resistenza al nazismo era rimasta l’unica forma di legittimazione politica accettabile, e la punizione per il collaborazionismo era dunque imperativa. In realtà, osserva Judt, punire i colpevoli si rivelò in molti casi difficile (e politicamente inopportuno): in Francia, come in Italia, la tendenza fu quella del colpo di spugna sul passato (accompagnandolo, semmai, con una mitizzazione conveniente della Resistenza), mentre in altri paesi le sanzioni furono molto più estese (in Norvegia, furono processati 55.000 individui su una popolazione di 3 milioni). Anche in Europa orientale le scelte di perseguire i collaborazionisti furono attuate in funzione delle necessità politiche dei sistemi comunisti allora creati e imposti. Né ad Est né ad Ovest, viene fatto notare, si produsse un discorso pubblico specificamente volto a rievocare lo sterminio degli ebrei. Al massimo si commemoravano genericamente le “vittime del nazismo”. La codificazione di una memoria incentrata sulla Shoah avrà luogo solo a partire dagli anni ottanta.

Judt sottolinea la radicalità delle posizioni di molte forze della resistenza antinazista durante la guerra. Posizioni che contribuirono indirettamente a formare quel che Judt chiama il “momento socialdemocratico” (1953-1971) dell’Europa occidentale: una opinione diffusa e condivisa che riconosceva la necessità di qualche forma di programmazione o pianificazione economica, di assistenza pubblica universalistica (il welfare).

Nel contesto europeo, la crisi del modello socialdemocratico viene analizzata illustrandone i casi concreti, in particolare di Gran Bretagna e Francia. Il welfare state appare vittima del proprio successo. Le generazioni che non avevano conosciuto gli anni trenta davano per scontate le acquisizioni dei primi decenni del dopoguerra. Come risultato delle privatizzazioni liberiste Judt vede non tanto un crollo del welfare, quanto piuttosto un massiccio trasferimento di risorse dal settore pubblico a quello privato. Per quanto riguarda la crisi finale dei sistemi comunisti tra gli anni settanta e ottanta, affrontata nella quarta parte del volume, Judt ricorre alla storia intellettuale dei dissidenti esteuropei, che lui stesso frequentò in quegli anni, privilegiando la svolta del 1989, l’esperienza di Solidarność in Polonia, che fu in realtà l’unica vera rivoluzione esteuropea degli anni ottanta.

Guido Franzinetti

I nostri partner