Federico Varese ha scritto opere importanti, sulla mafia russa, sulle mafie che si trasformano, sul concetto stesso di mafia, ma lo caratterizza in particolare la voglia di andare a vedere sul campo, per capire problemi e questioni.. Vita di mafia riflette nitidamente questa predisposizione mentale a fare ricerca (…). Varese si è proposto di indagare alcuni aspetti di fondo delle principali mafie del mondo senza trascurare focus sulle organizzazioni minori e locali poiché i fenomeni vanno colti anche quando sono in embrione o in miniatura. Fosse pure un funerale a Salford, nei dintorni di Manchester, così simile a quello del boss Vittorio Casamonica a Roma nel 2015.
DALLA RUSSIA A HONG KONG
Poi progressivamente giunge in parti del mondo talora già visitate, in particolare in Russia, ma anche in Cina, in Grecia, in Italia, nel Dubai, a Hong Kong. E sceglie di proporre al lettore un’analisi trasversale. Le diverse organizzazioni guardate, di volta in volta, attraverso una singola e comune prospettiva: la nascita e la morte, l’amore e il lavoro, il denaro e la politica. O l’immagine di sé, decisamente uno dei capitoli più originali. Ricomporre le mafie in un unico quadro e poi perforarle da differenti porte di ingresso è operazione non semplice, e ancor meno semplice è riuscire a farlo con semplicità. Ma l’autore ci riesce, grazie alla capacità di pescare in memorie giornalistiche e documenti spesso considerati superati o insignificanti.
TATUAGGI, CINEMA E COCAINA
Varese si muove con un certo disordine geografico, è vero, ma sempre inseguendo un progetto chiaro: l’idea di studiare un mondo tangibile, sociale, in cui si affermano e riproducono le mafie. Senza tracciare i grandi orizzonti teorici, ma spargendone molti e importanti indizi. Carriere, alcove, partite e assaggi di coca, conti bancari stratosferici, tatuaggi, tradimenti, violenze, insolenze, ambizioni, aggressioni ai diritti civili, corruzioni, fiotti di sangue, si richiamano e si intrecciano. Ma anche insospettabili empatie, nostalgie, solitudini. E formidabili narcisismi, tra cui meritano un posto d’onore le aspirazioni dei boss di vedersi immortalati in film che li consegnino ai posteri ma anche ai contemporanei come eroi intemerati (…).
GLOBALI MA RADICATE NEL TERRITORIO
La consapevolezza che scaturisce dal libro è infine quella della profonda, irriducibile diversità delle mafie. Nonostante le imprevedibili analogie che la lettura suggerisce (…). Il crimine, insomma, può anche globalizzarsi, può spostare traffici e allestire network nei continenti, ma continua a tenere ben salde le sue radici culturali e morali nei luoghi d’origine. Per quanto i mercati si sovrappongano, restano i fondamenti ancestrali; che la globalizzazione corregge e offusca, ma non distrugge né sradica. E d’altronde non è per caso se non è ancora successo che un leader straniero abbia preso in mano un’organizzazione criminale e l’abbia adattata a un modello operativo e a un modo di pensare estranei alla sua storia. Il manager multinazionale del crimine deve ancora nascere. E non è un segno da poco.