LA TEORIA DEL PIACERE DI LEOPARDI
Fin dai banchi del liceo ero sempre stato abituato a rispondere all’immancabile domanda sulla teoria del piacere di Leopardi dicendo che lo stimolo per quelle riflessioni gli proveniva dal sensismo illuminista, cioè da quella dottrina che riporta alle sensazioni ogni forma di conoscenza. Nella prospettiva sensista, il piacere proviene dai sensi e il dolore è perciò da considerarsi come una semplice assenza di sensazioni piacevoli, come una mancanza di piacere. Questa risposta, che di solito accontentava i professori, oggi non accontenta più lo studente di allora. Se leggiamo i passi dello Zibaldone (165-190) sulla “teoria del piacere” (a differenza di altri luoghi comuni leopardiani, come il pessimismo, è lui stesso a usare questa definizione) notiamo che la prospettiva di Leopardi è diversa: “Dalla mia teoria del piacere seguita che l’uomo desiderando sempre un piacere infinito e che lo soddisfi intieramente, desideri sempre e speri una cosa ch’egli non può concepire”. Da qui la necessaria infelicità dell’uomo.
IL DESIDERIO UMANO E LA NON POSSILITÀ DI SODDISFARLO
Questa contrapposizione tra l’infinità del desiderio umano e la finitezza delle possibilità di soddisfarlo non si trova nel sensismo. (…). Restando sul terreno dei testi, idee molto simili a quelle di Leopardi si possono leggere nel proemio al II libro dei Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio di Machiavelli: “Sento, oltra di questo, gli appetiti umani insaziabili, perché, avendo dalla natura di potere e volere desiderare ogni cosa, e dalla fortuna di potere conseguitarne poche, ne risulta continuamente una mala contentezza nelle menti umane e uno fastidio delle cose che si posseggono”. In posizione meno strategica ma con ancora maggiore somiglianza, Machiavelli ribadiva lo stesso concetto in Discorsi I 37 (“La natura ha creati gli uomini in modo che possono desiderare ogni cosa e non possono conseguire ogni cosa: tale che, essendo sempre maggiore il desiderio che la potenza dello acquistare, ne risulta la mala contentezza di quello che si possiede, e la poca sodisfazione d’esso”), nelle Istorie fiorentine (IV, 14) e infine nella Mandragola, dove Callimaco riflette sulla vanità della conquista amorosa di Lucrezia (“Non sai tu quanto poco bene si truova nelle cose che l’uomo desidera, rispetto a quello che l’uomo ha presupposto trovarvi?”).
LA SPROPORZIONE TRA “DESIDERARE” E “CONSEGUIRE”
La sproporzione tra “desiderare” e “conseguire”, avente come causa la “natura” e l’incapacità degli uomini di “porre termini alle speranze loro” (Discorsi I, 27, 22), mettevano capo, secondo Machiavelli, a una “poca sodisfazione”, a una “mala contentezza”, a un “fastidio”. Le somiglianze sono evidenti, ma chi ci garantisce che Leopardi potesse avere presenti quelle parole in quel momento? La prima formulazione della teoria del piacere è del giugno 1820.
I CONSIGLI DI LEOPARDI AL SOVRANO
Negli stessi giorni, sempre nello Zibaldone, Leopardi scriveva: “A colui che occupa una nuova provincia o per armi o per trattato è molto più vantaggioso il suscitarci e il mantenerci due fazioni, l’una favorevole e l’altra contraria al nuovo governo, perché la prima fazione essendo ordinariamente più forte della seconda, e perciò questa non potendo nuocere, si ricavano da ciò due vantaggi. L’uno di indebolire i paesani e renderli molto più incapaci di riunirsi insieme per intraprendere nulla (…) l’altro di avere un partito per sé molto più energico e infervorato di quello che se non esistesse un partito contrario, perché i principi, non dovendo aspettarsi di essere amati né favoriti dai sudditi per se stessi né per ragione, debbono cercare di esserlo per odio degli altri”. Se non si sapesse che li ha scritti Leopardi, questi consigli al sovrano sembrerebbero usciti dalla penna di Machiavelli: non è solo per il contenuto spassionato e crudo, ma è la stessa forma dicotomica del ragionamento che fa dire con certezza che qui Leopardi stava deliberatamente imitando lo stile di Machiavelli. Basta aprire il Principe alla prima pagina per accorgersene: “Tutti li stati, tutti e’ dominii che hanno avuto et hanno imperio sopra li uomini, sono stati e sono o repubbliche o principati. E’ principati sono o ereditarii (…) o e’ sono nuovi. E’ nuovi, o sono nuovi tutti, o sono come membri aggiunti allo stato ereditario del principe che li acquista (…). Sono questi dominii cosí acquistati, o consueti a vivere sotto uno principe, o usi ad essere liberi; et acquistonsi, o con le armi d’altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù”. Su Leopardi fece presa questa capacità di Machiavelli di scomporre in maniera analitica ogni problema in due corni, ognuno dei quali a sua volta divisibile su base binaria, e così via.
Sempre in quei mesi nella novella Senofonte e Niccolò Machiavello, rimasta incompiuta, Leopardi immagina un concorso tra i due per decidere chi sarebbe stato incaricato di istruire il figlio di Plutone destinato a regnare sulla terra. Senofonte ovviamente ha la peggio e nel discorso vincente di “Machiavello” gli studiosi hanno letto una velata confessione autobiografica di Leopardi stesso (…)
MACHIAVELLI COME VIA D’ACCESSO DI LEOPARDI >BR>Machiavelli come via d’accesso di Leopardi dunque, ma non solo. Certo, i caratteri dei due personaggi furono diversissimi. È vero che Machiavelli conobbe momenti di sconforto, ma la sua esuberanza, a partire da quella sessuale, era nota a tutti e gli procurò anche guai con la legge. Tutto il contrario della tormentata e ritirata vicenda esistenziale di Leopardi, che l’impossibile soddisfacimento di ogni piacere lo visse prima sulla propria pelle che sulla pagina. Perciò verrebbe da convenire con Timpanaro che forse non vale la pena affaticarsi troppo sulle letture che prepararono la teoria del piacere e accogliere il suo invito a “non dimenticare quanto nel pensiero leopardiano c’è di apporto nuovo, di esperienza diretta, non libresca”.
Ma per Leopardi esperienza diretta ed esperienza libresca non erano forse così contrapposte. Sicuramente non lo erano per Machiavelli. L’inizio dei Discorsi, l’opera che Leopardi aveva sotto gli occhi mentre formulava la teoria del piacere, parlava chiaro. Machiavelli vi aveva “espresso quanto io so e quanto io ho imparato per una lunga pratica e continua lezione delle cose del mondo”. “Continua lezione delle cose del mondo”, cioè lettura (questo il significato che qui il termine ha per Machiavelli) del mondo. In questo i due furono vicinissimi: il mondo da leggere come un libro per Machiavelli, i libri da leggere come mondi per Leopardi.